“Dire che la specie umana si trova oggi di fronte a una
scelta di civiltà, è banale, e inoltre può sembrare strano che proprio io parli
di scelta. In realtà non sarà certo una scelta. Si tratterà, una volta che
tutti saranno arrivati alla conoscenza, di una consapevolezza diffusa delle
conseguenze dei nostri vecchi comportamenti, della tardiva comprensione dei
meccanismi che li governano, di una
nuova pressione di necessità alla quale dovremo obbedire per far sopravvivere
la specie. Non si tratta di sapere se è bene che sopravviva, non sappiamo
neanche se ciò avverrà. Ma sembra certo che la sua eventuale sopravvivenza
implicherà una profonda trasformazione del comportamento umano. E tale
trasformazione sarà possibile solo se tutti gli uomini conosceranno i
meccanismi in base ai quali pensano, giudicano e agiscono.”
E
ancora:
“Una volta capito che gli uomini si uccidono l’un l’altro
per stabilire una dominanza o per mantenerla, vien voglia di concludere che la
malattia più pericolosa per la specie umana, non è né il cancro né le malattie
cardiovascolari, come cercano di farci credere, ma il senso delle gerarchie, di
tutte le gerarchie. Non c’è in un organismo perché nessun organo cerca di
dominare l’altro, di comandarlo, di essergli superiore. Tutti funzionano in
modo da far sopravvivere l’organismo. Quando mai capiranno, i gruppi umani
appartenenti al grande organismo della specie umana, che il loro scopo è la
sopravvivenza dell’insieme e non l’affermazione della loro dominanza sugli
altri? Nessuno, da solo, rappresenta la specie e nessuno ha il monopolio della
verità.”
Inoltre:
“Ebbene, in politica la struttura che sottende i rapporti
di produzione è la struttura dei sistemi nervosi umani in cerca del potere e
della dominanza necessari per portare a termine il progetto individuale, da
preferire a quello dell’altro. I rapporti di produzione sono solo un modo,
anche se non trascurabile, di espressione funzionale. Attribuire loro una parte
essenziale dei rapporti umani significa ricadere nella dicotomia di uomo che
produce e uomo di cultura: significa obbligare l’individuo ad affidare il
proprio potere di organizzazione dei rapporti sociali a un partito o ai leader
ispirati, a coloro che sanno o, ancor più spesso, a un conformismo tendente a
mantenere antiche strutture. Significa, di conseguenza, continuare a considerarlo
sotto l’aspetto termodinamico e credere che lo sfruttamento dell’uomo da parte
dell’uomo avvenga solo mediante la produzione di beni, la ricchezza del mondo,
di cui viene privato proprio il lavoratore che la produce. Ma la vera ricchezza
che egli potrebbe produrre e di cui viene privato, anche nei paesi socialisti
odierni (ricordo che il libro è del 1976),
è la conoscenza. Non solo la conoscenza scientifica o “culturale” ma la conoscenza
di se stesso e degli altri che potrebbe indurlo a inventare nuovi rapporti
sociali e a organizzarli in modo diverso da come gli viene imposto. La cosa più
importante da conoscere, prima della quantità di energia assorbita e liberata
da una struttura vivente e il modo di distribuire il plusvalore, è la forma, la
funzione, il compito di questa struttura vivente. E’ fondamentale acquisire la conoscenza
di questa informazione, la consapevolezza di far parte di un insieme, di
partecipare, attraverso l’azione individuale, alla finalità di questo insieme,
di potere, come individui, influenzare la traiettoria del mondo.”
Pensare
che tutto questo è stato espresso circa quaranta anni fa e, che nonostante
questo tempo passato, non abbiamo ancora preso atto di tale analisi, significa
che c’è ancora molto da fare per superare il limite di resistenza al
cambiamento. Abbiamo l’opportunità che questa analisi sia un punto di partenza
solido per iniziare a pensare una società il cui centro è l’essere umano.
Estratto dal libro di Henri Laborit – “Elogio della fuga”.
Nota: il corsivo l’ho
aggiunto io.
Saluti
Luca
Nessun commento:
Posta un commento